Molestie in Duomo, Souad Sbai a Sputnik: “C’è una regia dietro il branco”

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Molestie in Duomo – L’attivista per i diritti delle donne musulmane e responsabile del dipartimento integrazione della Lega Souad Sbai a Sputnik: “Dietro le violenze in piazza Duomo c’è la logica di conquista del territorio”. E attacca: “In Italia si giustifica tutto in nome del politicamente corretto”.
Hanno agito “con una carica di violenza così brutale che solo grazie all’intervento fortuito di alcuni soccorritori” non ci sono state “conseguenze ulteriori e più gravi”. È quanto si legge nell’ordinanza di convalida del fermo di Mahmoud Ibrahim, il 18enne egiziano considerato uno degli istigatori del branco che ha molestato decine di ragazze la sera di Capodanno in piazza Duomo. Con lui è finito in carcere anche Abdallah Bouguedra, 21enne torinese di origini marocchine.
In tutto sarebbero 12 gli indagati per violenza sessuale di gruppo, rapina e lesioni. Ma il numero degli iscritti nel registro degli indagati è destinato a salire. Secondo Souad Sbai, attivista per i diritti delle donne, ex parlamentare e responsabile del dipartimento integrazione della Lega, dietro i fatti di piazza Duomo ci sarebbe una “regia”. Chi ha accerchiato e aggredito quelle giovani donne nel cuore del capoluogo lombardo l’ha fatto per una “logica di conquista del territorio”, assicura, raggiunta al telefono da Sputnik Italia.
— Da piazza Tahrir a Colonia, fino a Milano, era solo questione di tempo perché l’orrore delle molestie sessuali di gruppo arrivasse anche qui?
— Quello che è successo a piazza del Duomo non è una novità, ma ci preoccupa molto.
— Perché?

— Perché dietro comportamenti del genere c’è l’islamismo. Un’ideologia che ha un progetto politico, economico e sociale ben preciso, anche di occupazione territoriale vera e propria.

Un progetto che i fondamentalisti portano avanti anche con la violenza, compresa quella contro le donne, meglio ancora se cristiane o comunque di un’altra religione che non sia l’Islam. L’Italia si dovrebbe svegliare.
— Sta dicendo che c’è una regia dietro quello che è successo in centro a Milano?
— Certamente, cinquanta ragazzi non si possono mettere d’accordo lì per lì, la sera stessa. Se fossero stati in cinque o sei avremmo avuto il beneficio del dubbio, ma così c’è qualcosa che non quadra. Sono arrivati da tutta la Lombardia e anche da fuori regione. E poi la dinamica è quella tipica della Taharrush Jamaʿi, il primo cerchio che stringe le ragazze, il secondo che urla, ride e finge di fare festa per distogliere l’attenzione.
— Quindi c’è qualcuno che ha organizzato una vera e propria spedizione?
— Sicuramente c’è qualcuno che soffia sul disagio e sul malessere che tanti di questi ragazzi, figli di immigrati, vivono. Un malessere che aspetta solo il momento giusto per sfociare in violenza. Prima c’erano le moschee, oggi c’è il web che facilita il lavoro ai predicatori che vogliono creare nei ragazzi una terza identità che non ha a che fare né con l’Italia né con i rispettivi Paesi d’origine. Insomma, quello Stato nello Stato che abbiamo visto in Siria e Iraq, o anche in Francia.
Quello che è certo è che oggi queste cose non le vedrete mai in Marocco o in Tunisia, perché lì ci sono leggi severe e i personaggi così vengono isolati.
— Sta dicendo che in Italia non è così?

— In Italia ognuno fa come gli pare, non ci sono pene certe e poi sanno che qui c’è sempre qualcuno pronto a giustificare. A giustificare la loro cultura, a giustificare la violenza, a dire che “tanto lo fanno anche gli italiani”.

E poi, non è vero che se spacciano, fumano e bevono non hanno niente a che fare con la religione e il fondamentalismo. Si ricorda chi erano gli attentatori del Bataclan? Ragazzi di periferia che ad un certo punto hanno messo da parte gli spinelli e le birre e hanno imbracciato i Kalashnikov.
— Quindi secondo lei è stata sottovalutata, almeno inizialmente, la gravità dei fatti?
— Alcuni giornalisti e politici hanno fatto finta di non capire. Molti hanno preferito abbassare i toni e fare come se non fosse successo nulla. Persino il sindaco, Beppe Sala, ha aspettato undici giorni per esprimere solidarietà alle ragazze aggredite. Tutto per non passare per xenofobi e razzisti. Ma qui bisogna sbarazzarsi del politicamente corretto: chi delinque va denunciato, che sia nordafricano, islamico, cristiano o buddhista. Bisogna prendere nettamente le distanze da questa gente. Se non diciamo le cose come stanno c’è il rischio che persone così prendano il sopravvento.
— Non a caso, in Francia si discute di lotta al “separatismo” religioso, in Italia siamo ancora indietro?
— Qui non c’è nessun dibattito, di queste cose non si parla. Da anni nascondiamo la polvere sotto il tappeto, finché non ne pagheremo le conseguenze. Se si continua così tra qualche mese o anno rischiamo di ritrovarci a parlare di qualcosa di addirittura più grave di quello che è successo in piazza Duomo.
Non si può accettare tutto per evitare di passare per razzista o per non offendere le altre culture: è imbarazzante. Non ci sono bastati gli attentati in Francia, Germania, Austria?
— Ma come si fa a cambiare la mentalità di questi ragazzi?
— Intanto bisogna dire che sono anche le stesse donne musulmane ad essere vittime del radicalismo e della mentalità fondamentalista. Credo che ci sia bisogno di investire nell’istruzione. Ma anche di integrare davvero questi giovani, magari partendo dall’educazione civica e perché no, dal servizio militare.
Lo Stato deve offrire simboli e identità, un’alternativa al fondamentalismo. Non si può più accettare che chi vive qui tenga le donne rinchiuse a casa sottomesse. Non siamo più nel Medioevo.
Insomma, non bisogna lasciare spazi vuoti, perché è lì che si insinua chi predica la violenza.

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