Molestie in Piazza Duomo, terrorismo e integrazione (parte 3)

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Molestie in Piazza Duomo: donne col velo integrale
(Fonte: "La Repubblica")

Le indagini sulle molestie avvenute in Piazza Duomo a Capodanno continuano. Non sono terrorismo vero e proprio, ma certamente sono legate anch’esse al famoso jihad inteso come “guerra santa”, dove i conquistatori possono innanzitutto stuprare le donne del territorio conquistato.

La stessa ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha dichiarato che, quando le molestie sono avvenute, “la piazza era presidiata, ma evidentemente” i molestatori hanno condotto “un attacco prestabilito”, non un “semplice” atto criminale. Anche Lamorgese ha inoltre parlato di “attacco un po’ a centri concentrici, per cui non si vedeva (il momento delle molestie, ndr), con questo cerchio hanno un po’ coperto un po’ che c’era all’interno”. Lo ha confermato il capo della Polizia, Lamberto Giannini, annunciando la prosecuzione delle indagini (non interne, ha spiegato, perché “da quello che abbiamo potuto vedere nell’immediatezza sono state evitate conseguenze rispetto a qualcosa di grave che stava accadendo”).

Dobbiamo renderci conto che l’integrazione dei musulmani in Occidente è difficile proprio dal punto di vista storico (vedi gli stessi stupri nelle terre di conquista islamica). Non bastano le leggi che favoriscono gli immigrati come quella della cittadinanza abbreviata, con chi all’identità nazionale “preferisce” quella religiosa (ma non garantisce la libertà agli altri). Lo hanno dimostrato gli attentatori di Londra (che erano addirittura di terza generazione), i ragazzi delle banlieues parigine o delle periferie di altre città europee. Ci sono anche genitori che ci chiedono di salvare i loro figli da chi cerca di fare loro il lavaggio del cervello e certamente non li salviamo con la cittadinanza abbreviata.
La lotta contro l’estremismo islamico, però, non deve avvenire solo sul nostro territorio, ma ovviamente deve riguardare anche la politica internazionale e le iniziative di cooperazione internazionale. Per esempio è un gravissimo errore la ratifica nel maggio del 2020 da parte del Senato di un accordo con questo Stato nell’ambito dell’istruzione (che come abbiamo detto, è proprio uno dei mezzi fondamentali per favorire l’integrazione), dell’università e della ricerca scientifica. C’erano già state numerose polemiche, quando l’accordo sarebbe dovuto passare alla Camera per essere esaminato a settembre del 2019; ma poi c’è stata l’approvazione finale con i voti di Partito Democratico, Movimento Cinquestelle, Italia Viva e Liberi e Uguali. Lega e Forza Italia si sono astenuti e l’unico ad avere il coraggio di votare contro, è stato Fratelli d’Italia.
La convizione che l’accordo sia un errore, è anche dovuta al fatto che in Qatar vengano violati sistematicamente i diritti umani e in particolare quelli della donna. Non solo: nell’emirato non vengono neanche rispettati diritti degli omosessuali e dei migranti (si vedano quelli sfruttati per costruire gli stadi dei Mondiali 2022). L’accordo siglato dalla sinistra italiana, mostra tutta la sua incoerenza con i valori che sostiene di propugnare e come l’ “apertura del nostro Paese al Mediterraneo” sia una palese scusa. In realtà abbiamo aperto ai Fratelli Musulmani. Questo cosa significa? Che l’organizzazione potrà fare proseliti nei nostri centri d’istruzione! Si dovrebbero intrattenere soltanto rapporti economici con il ricco emirato, ma per carità, non un accordo capace di condizionare le menti dei ragazzi che vivono qui!
Nel mondo islamico si conoscono certi pericoli; in Italia no o non abbastanza. Ci sono donne musulmane che vivono qui anche da 20 anni, che magari prima vivevano nelle campagne e sul nostro territorio sono ancora condizionate dall’estremismo delle loro famiglie. Sono a questo punto, mentre il processo di emancipazione femminile nei loro Paesi d’origine è avviato e non sanno di che diritti possono godere qui, perché non hanno avuto la possibilità di integrarsi. Non riescono fare le cose più banali come prendere l’autobus e sono analfabete rispetto alla loro lingua d’origine (perciò figuriamoci se sanno l’italiano!).

Va malissimo anche per le giovani che provengono da contesti come questi. E’ emerso che nell’ultimo anno e mezzo, addirittura il 60% delle bambine (il 6-7% delle comunità che vivono in Italia) sono state ritirate dalla scuola dell’obbligo. La situazione è molto drammatica.
Si aggiunga il fatto che in Italia le donne arabe e musulmane sono vittime di stereotipi duri a morire. Questo mentre per noi Paesi come la Turchia (nonostante Erdogan e la sua vicinanza ai Fratelli Musulmani), la Tunisia e il Marocco sono all’avanguardia, nonostante il maschilismo nella società.
Perciò l’allarme non riguarda “la donna araba lì, ma quella che sta qui”. Nei Paesi islamici è cresciuta la consapevolezza che le mutilazioni genitali femminili (ben diverse e gravi rispetto alla circoncisione) non siano una pratica islamica, bensì che risalga al tempo dei faraoni. Tuttavia accade che famiglie provenienti da Stati come la Somalia e la Nigeria, dove le mgf sono ancora praticate, vi portino le figlie in estate per farle mutilare per colpa di imam connazionali ignoranti. Perciò le bambine tornano in Italia mutilate.
Inoltre mancano aiuti concreti alle famiglie, perché una donna che sta per avere un bambino, non rinunci al lavoro; mentre per esempio in Francia per le donne incinte ci sono assegni finché suo figlio non compie due anni, premi allattamento ed asili nido sul posto di lavoro (anche se a dire il vero, c’è anche qui qualche struttura simile: sono i cosiddetti asili aziendali).
La situazione delle donne arabe e musulmane in Italia rappresenta in modo lampante il fallimento della società multiculturale. Perché spesso siamo indifferenti, ma siamo “tolleranti” con ciò che vivono, perché non siamo capaci di risolvere i problemi.
Un esempio emblematico è quando l’On. Souad Sbai, presidente dell’Associazione delle Comunità delle Donne Marocchine in Italia (ACMID – DONNA) e attualmente responsabile del Dipartimento integrazione e rapporti con le comunità straniere in Italia, nel 2011 aveva presentato una legge alla Camera contro l’uso del velo integrale (burqa e niqab). Per fermare tutto, persone che a giudicare dai nomi erano convertite all’islam, hanno persino firmato ed inviato una petizione al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, sostenendo che la norma fosse discriminatoria. Tra i nomi dei firmatari figuravano quello del 24enne genovese Giuliano Ibrahim Delnevo, morto per l’Isis in Siria nel 2013; Maria Giulia Sergio, nata a Torre del Greco in provincia di Napoli, che potrebbe aver fatto la stessa fine, mentre si occupa di fare proselitismo sul web la milanese Barbara Aisha Farina, moglie dell’ex “imam di Carmagnola”, il senegalese Abdel – Qadir Fad’llah Mamour, espulso dal nostro Paese nel 2003, dopo aver vantato la propria amicizia con Osama bin Laden e dedito a sua volta al proselitismo. La legge “anti – velo integrale” non è stata approvata. Se non altro però ha mosso il dibattito sull’argomento e fortunatamente ha puntato i riflettori sulla condizione delle donne musulmane qui. Come per fortuna ha mosso il dibattito il libro dell’On. Sbai “Rachida – Un’apostata in Italia” (Ed Curcio), che riguarda anche il tema della libertà religiosa.

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