L’unica strada possibile, di Luigia Aristodemo

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L’unica strada possibile, di Luigia Aristodemo

La valigia, a volte di cartone, ha sempre caratterizzato noi italiani. L’esercito di migranti che la povertà costringeva ad emigrare ė noto. Alla fine del 1946 iniziò l’esodo verso l’Argentina, il Canada, l’America, il Belgio, Paesi che dalla fantasia, l’ingegno e la voglia di lavorare degli italiani ne hanno tratto vantaggio. Tutto questo accadeva per le condizioni economiche che il nostro Paese attraversava e l’unico modo di combattere la povertà era trovare un lavoro lontano dalle proprie famiglie. Servivano braccia per la ricostruzione e dove l’economia lo permetteva gli italiani si mettevano in gioco.

Anche oggi l’esodo di giovani ė in aumento e le regioni del Sud sono sempre più soggette non solo alla fuga dei cervelli ma anche di molte famiglie. E il motivo ė sempre lo stesso. Purtroppo non ė stato fatto nulla per abbassare il costo del lavoro, da anni la disoccupazione giovanile e femminile sono molto al di sopra della media Ue, gli investitori scappano, la finanza globale sta abbandonando l’Italia evidentemente preoccupata dal nostro debito pubblico che sale e dalla crescita economia che si sgonfia, ma anche dallo stallo totale della produttività delle nostre imprese.
I dati Istat che impietosamente fotografano l’attuale economia non sono incoraggianti, almeno nel breve periodo. Allora cosa fare? Non più collocare le braccia come nel passato, ma collocare i cervelli nelle migliori università del mondo. Ricercatori che all’estero hanno più possibilità di lavorare e portare a termine i propri progetti per lottare contro l’appiattimento economico che potrebbe annichilire tutte quelle menti che sanno innovare. Anche le famiglie che non vengono messe in condizione di lavorare in Italia cercano lavoro in altre Paesi mettendosi in gioco. I giovani italiani della Silincon Valley creano start up con i soldi dei grandi investitori, le università all’estero investono sui giovani, mentre in Italia al momento ciò accade molto ma molto lentamente . Allora la mobilità tanto professata e ora criticata che ben venga perché paradossalmente ha valorizzando i cervelli italiani che in competizione non la danno vinta a nessuno.

Lo studio e il lavoro all’estero sono una tappa del percorso formativo di una persona ma non ne costituiscono la meta finale. Sentirsi cittadini d’Europa non stranieri d’Europa è l’unica strada possibile.

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