Una risata e tanta interpretazione

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risata - fabiana gardini

Una risata e tanta interpretazione – Alla faccia di tutti quelli che hanno sempre invitato gli ottusi identitari e sovranisti italiani a guardare alla Francia e al suo europeismo tout court. Una volta riconfermata la permanenza di Macron all’Eliseo, il nuovo esecutivo si avvarrà di ministri dell’agricoltura e dell’economia che difenderanno il sovranismo transalpino in nome di un identità nazionale, che mai bisognerà in alcun modo ledere, economicamente e culturalmente.

La Francia in fondo l’ha sempre saputo e professato. Dalla lingua alle usanze. Nessuna capriola intellettuale. L’identità, per i francesi, è un valore. E i francesi lo preservano.
In Italia, ogni tanto, qualcosa si muove. Al teatro Sancarluccio a Napoli, il 21 maggio, si è tenuto un convegno che aveva per scopo l’indagine e la valutazione dello sviluppo identitario
attraverso il teatro comico dagli anni 80 in poi. L’occasione era ghiotta: quel teatro, che da sempre è stato la culla della comicità e del cabaret napoletano, ha compiuto, in quest’anno, i 50 anni d’attività.

Relatori importanti dal mondo intellettuale e dal teatro. Docenti universitari e scrittori. La politica deve ascoltare e sostenere. Grande fermento nel mondo artistico campano che mai avrebbe voluto mancare all’appuntamento, nel luogo dove sono nati, pasciuti e cresciuti quei comici che negli anni ottanta abbandonarono per sempre il clichè della comicità del dopoguerra, che pure fu scuola ed esempio in Italia e nel mondo. Filo conduttore la necessità di libertà espressiva per un settore, quello della comicità teatrale, che trae la
propria linfa proprio da particolari caratteri della collettività che sono analizzati, esasperati e presi in giro.

Per questo la comicità nata al Sancarluccio a fine anni 70 fu dirompente: abbandonati i clichè classici dei grandi attori del dopoguerra, si prese ad analizzare e a prendere in giro le storture e le particolarità della collettività degli anni contemporanei agli attori che li rappresentavano. Un enorme processo interpretativo, che segnò il cambio di passo della comicità e del processo identitario e che fu rappresentato dal teatro comico. Su tutti Massimo Troisi che inventò un nuovo personaggio che del basso profilo e dell’ironia fece i mezzi per smontare interlocutori ottusi e molesti.

Il tema dell’identità è stato affrontato così come solo il teatro comico sa fare: con leggerezza d’espressione e profondità di contenuti. E per illustrare un concetto troppe volte contrabbandato come qualcosa di terribile e da abolire, si è ricorsi, come d’obbligo nella casa della comicità, a spiegazioni che, pur accompagnati da battute e ricordi, hanno fatto pensare al risultato dell’adozione di linguaggi e comportamenti sterilizzati, o, per dirla con i filo anglofoni, politically correct: la sensazione di vivere in un presente senza radici, che però contribuisce a spaesarci, e non fa bene all’umanità che si destabilizza e diventa ondivaga e senza riferimenti e capacità critica.

Piacevole e indicativo l’allestimento del foyer del teatro: il pubblico accolto da un brusio di sottofondo in cui si coglievano frammenti di discorso di ogni attore che nel teatro aveva recitato, e le fotografie di scena appese, come i tipici panni nei vicoli, a corde da bucato e legate ad esse con le più tipiche mollette da stenditoio. Ingresso del foyer come l’ingresso in una Napoli che accoglieva i suoi artisti tra scrosci d’applausi e bevendone le battute. Interpretazione, signori. Creare un pathos già all’ingresso, sfruttando i sensi in dotazione agi esseri umani.

Poca spesa molta resa, dicevano gli antichi. E non avevano torto. L’emozione è diventata papabile per gli attori che riconoscevano se stessi ed i loro amici nelle foto e nelle voci, e per il pubblico, che cercava di riconoscere i personaggi e le circostanze in cui aveva assistito allo spettacolo. Predisposti ai ragionamenti, ai ricordi e ai pensieri profondi, gli spettatori hanno goduto di un equilibrato dosaggio di ricordi, non solo di spettacolo, di attori come Lucia Cassini, Enzo Decaro, Angelo Di Gennaro, Eduardo Cocciardo.

Conclusione: l’identità emoziona, rende forti e consapevoli. Il teatro comico poiché riflette lo stratificarsi dell’evoluzione, o dell’involuzione, della società, aiuta a sviluppare il senso di appartenenza a un gruppo sociale, avendo in comune col gruppo caratteristiche culturali quali costumi, valori e credenze. L’identità non è una cosa ferma, cristallizzata, ma si ricrea individualmente, collettivamente e costantemente attraverso influenze. Per questo motivo celebrare i 50 anni del teatro Sancarluccio è stato anche celebrare la nuova comicità che negli anni ottanta descrisse modelli diversi di una società che era cambiata e continuava a cambiare, tanto velocemente che solo la risata poteva cristallizzarne alcuni aspetti.

Di Fabiana Gardini

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